Avere di fronte Claudio Lasagni ed i suoi quadri non e' stare alla presenza di un artista che insegue astratte teorie filosofiche o cervellotici voli pindarici ma stare dinanzi ad una persona che svela la sua autocoscienza determinata da avvenimenti e da incontri Iniziò a dipingere una trentina di anni fa risentendo l'influenza della buona, ancorché tradizionale, pittura di orbita cesenate. Questi esordi furono accompagnati e sostenuti da un profondo studio della pittura classica, dei maestri assoluti di ogni tempo. Con la tradizione classica ha sempre mantenuto una ammirata ed umile lealtà (ancora oggi nelle lezioni di pittura e che propone nella sua, Accademia Romagna" ritiene giusto iniziare dai maestri classici).

Dopo uno sguardo interessato positivamente all'iperrealismo americano, verso la fine del 1986, la grande svolta nel far pittura. In quella data un viaggio in India e l'incontro con la realtà spirituale ed artistica del paese, che sfocia in una sorta di inattesa ed imprevedibile rivelazione pittorica che lo condurrà ad un significativo cambiamento di prospettiva della pittura e della sua stessa vita personale. Una luce totalmente altra e colori con toni completamente diversi lo hanno condotto ad una maniera rivoluzionata del suo intendere il dipingere.

"La forma era solo un veicolo, un meccanismo, ed era sul colore che dovevo concentrarmi per esprimere quello che avevo dentro." Cosi Claudio Lasagni esplicita la consapevolezza della mutata concezione pittorica: non più solo espressione, ma comunicazione della realtà spirituale dentro ed attorno noi e, perciò, libera dalle regole accademiche, amorosamente imparate e tuttora rispettate. Questo anche perché Lasagni è sempre stato fedele esclusivamente al suo animo, scansando risolutamente ogni adesione alle mode effimere, sapendo esprimere il suo mondo interiore in maniera medita e personale, non correndo dietro alle diatribe sull'astrazione o sulla figurazione, che riesce peraltro a conciliare.

Se fino ad una certa data ha fatto una pittura figurativa e tonale, densa di contenuti poetici, l'ha poi trasformata in poesia nel senso tecnico e strutturale del termine, proprio in virtù dell'inderogabile esigenza di esprimere, con la più intima adesione possibile, i propri moti dell'anima.

Un uomo, un artista, che ha saputo ripartire per una nuova e più intensa ricerca spirituale per fare esplodere le sue aspirazioni e speranze che non sanno soggiacere allo stucchevole conformismo di una società post-moderna che ha dimenticato il trascendentale.

Per Claudio Lasagni dipingere si è trasformato in una sorta di pellegrinaggio dell'assoluto, di una penetrazione ascetica nel flusso di mistero che avvolge tutti, da cui lui si sente avvolto. La pittura non è concepita più come sforzata ricerca, ma abbandono e l’artista si fa trasparenza e canale attraverso cui assume consistenza, visibilità e bellezza, il vero che ci abbraccia. Così, nel dipingere, occorre seguire un certo ritmo interiore: se lo si perde diventa difficile dirigere la danza dei pennelli. Per questa ragione la simbiosi pittura e musica è divenuta progressivamente imprescindibile, fino a precisarsi nel 1995 con la passione della musica classica indiana attraverso lo studio del "raga», una parola che indica una melodia o composizione musicale, ma che letteralmente significa, guarda caso, "atto di colorare o tingere".

Di fronte alle opere di Claudio Lasagni ci si rende conto che il ritmo che si snoda nelle sue opere è flusso esistenziale e periodicità di pulsazioni vitali che sono andamenti musicali. La musica ispira, di più, detta la successione dei segni e dei colori ed essi, di rimando, suggeriscono l'obbedienza ad un ordine superiore Il segno non nasce mediante una scelta autoritaria e a priori, ma ogni volta viene cercato e trovato per intuizione profonda: prima di essere segno è stato figura, forma, immagine, parola; prima di essere colore è stato musica, slancio vitale.

E' pittura che non risulta da progressive, deliberate, eliminazioni ma da una condensazione di significati. Perciò Claudio Lasagni tende a risolvere ogni segno con un’unica pennellata, quasi fosse un "colpo di spada" che sappia evocare decisamente quella nettezza di trasparente comprensione della realtà. Troviamo qui, d'altra parte, anche la testimonianza di una straordinaria padronanza tecnica, evinta dallo studio delle icone bizantine e della pittura cinese.

Attraverso le innumerevoli particelle, minuscole campiture di colore, l'artista evidenzia le profonde ragioni dei soggetti riflessi nella luce più propria, allusioni ad archetipi grafici, segni di un alfabeto spirituale.

Le forme non costituiscono i termini di una pianificazione mentale dello spazio, di una sua astratta progettazione architettonica, ma sono esse stesse, nel loro crescere e dialogare sulla superficie, a farsi spazio, a cercare una dimensione che è quella della loro propria essenza. Esse sono date e accadono, contemporaneamente; non sono proporzionatamente commensurabili ad uno spazio centrale e calibrato, ma alludono, nel loro dinamismo, ad una ramificazione continuamente in atto dello spazio-luogo verso la sua periferia, secondo un principio di frequenza e continuità: spazialità esistenziale, dove noi stessi accadiamo, in cui sgraniamo i tempi successivi del nostro esistere.

Marco Vallicelli

Forli, 21 Febbraio 2000